Mamme al Lavoro: il viaggio circolare

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La maternità, comporta, inevitabilmente per le donne, una riformulazione dei confini tra ruolo familiare e professionale, poiché l’evento in sé rimette in discussione i diversi aspetti dell’identità femminile e ne ricombina i valori, le priorità, le aspettative. Nella cultura tradizionale, tale evento, è stato vissuto nei contesti organizzativi, come un perdita di risorse e di equilibrio, come una «disdetta». Oggi, grazie all’emancipazione delle donne in ambito professionale, alla loro più numerosa presenza in azienda, e alla loro capacità di affermarsi in posizioni manageriali, si sta sviluppando una nuova sensibilità che mira a valorizzare la maternità come valore sociale, evento naturale e fisiologico.

Al fine di individuare gli aspetti emotivi e psicologici che caratterizzano l’esperienza della maternità dal punto di vista del contesto organizzativo ho utilizzato la metafora del “viaggio circolare”, di cui si parla nel libro “Viaggio nel viaggio”, ben descritto da alcuni sociologi (Viaggio nel viaggio – E. Rossi, R. Iannone, M. Salani – Meltemi, 2005).

“Per sua natura il «viaggio circolare» si costruisce attorno ad un inizio-punto di rottura, una partenza ed un rientro-ritorno. Esso comporta un cambiamento e una rottura della consueta quotidianità. Questo avviene attraverso: 1) una sospensione dei sistemi relazionali ordinari; 2) un’uscita temporanea dalle reti sociali di appartenenza con una sospensione dei ruoli della quotidianità ; 3) la preparazione ad assumere un altro ruolo”.

Come nel viaggio circolare, anche nel caso dell’esperienza della maternità, c’è chi rimane e chi parte, c’è chi resta ancorato ad una quotidianità conosciuta e chi si prepara ad affrontare una nuova esperienza con la consapevolezza del momento del ritorno.

Possiamo così individuare tre fasi importanti:

PREPARARSI AL CONGEDO
La gestione di questa fase delicata influenza l’evolversi delle relazioni del gruppo di lavoro in cui è inserita la donna professionista che si accinge a diventare madre.
Ed è per questo molto importante affrontare questo momento attraverso pratiche d’informazione e di comunicazione esplicita sulla rottura e sulla ricostruzione dei legami di rete che possono tradursi in almeno tre vantaggi:

  • attraverso una comunicazione esplicita, si riconferma l’appartenenza della donna-professionista che sta andando via per affrontare la sua nuova avventura, al gruppo e alla azienda;
  • la donna può condividere con il suo gruppo di lavoro la preoccupazione per una ridistribuzione dei carichi di lavoro che la sua assenza comporterà, dando il suo contributo in base alla maggiore conoscenza che ha delle sue attività. Questo le consentirà di affrontare con maggiore serenità, durante il periodo di congedo, l’eventuale senso di colpa per aver «mollato» i suoi colleghi;
  • si possono esplicitare le aspettative reciproche riguardo al rientro e al come gestire il reintegro nel ruolo. Questo aspetto consente di limitare le ansie della donna professionista riguardo alla possibilità di perdere, a causa del suo diventare madre, tutto ciò che fino a quel momento ha contribuito a costruire nel suo gruppo di lavoro.

IL CONGEDO
Nel gruppo di appartenenza professionale, se la prima fase non è stata ben gestita o nel caso intervengano eventi imprevisti di una certa significatività, l’assenza della persona può causare a chi resta un disagio pesante comportando problemi rilevanti, al momento del rientro, per le difficoltà di recupero delle relazioni emozionali e fiduciarie preesistenti.

L’assenza può, infatti, richiedere o imporre dei sostituti o delle supplenze da parte di altri, che vengono, sia pure provvisoriamente, immessi nel ruolo. Anche se marginali, sono azioni comunque «faticose», nel caso in cui, per es., il congedo dovesse protrarsi più del previsto.

Queste dinamiche possono, poi, determinare difficoltà al momento della riassunzione dei ruoli nel gruppo o nella rete, nonostante le volontà di reintegro, di fatto, contrattate nei momenti della comunicazione del congedo e della sua durata.

Il congedo – per la donna professionista – segna l’uscita da una quotidianità standardizzata, che le consente di potersi predisporre emotivamente ed energeticamente al nuovo progetto, che per sua natura è un progetto coinvolgente, pervasivo, totalizzante.

Questo avviene attraverso la progressiva dismissione di una certa quantità di attività alle quali sarà necessario sottrarsi, anche in termini emozionali.

Ciò nonostante, può essere di notevole aiuto sapere di poter mantenere una qualche forma di relazione, anche se solo di tipo informativo, con il proprio contesto professionale.

Tornando alla metafora del viaggio circolare, occorre rilevare che lo svolgimento di questa fase centrale del congedo è condizionata proprio dall’impossibilità di conservare per lungo tempo lo stato di sospensione. Da un lato quest’eccezionalità deve cessare, per rimanere eccezionale, e questo garantisce il “rientro”; dall’altro si vorrebbe che questo stato di grazia non finisse mai.

IL RIENTRO
Come tutte le rotture spazio-temporali, occorre un ripristino, in qualche modo, delle condizioni originarie, pena la conseguente marginalità e marginalizzazione da parte del gruppo di appartenenza.

La donna professionista-madre che rientra non è più la stessa persona. Il rientro dunque non è affatto speculare alla partenza: la sua natura è bivalente.

Per la donna professionista madre, da un lato segna la fine della “vacanza” (nel senso etimologico del termine), dunque la fine di una condizione «particolare».

Dall’altra, questa fase è anche il punto massimo di accumulo delle tensioni dell’esperienza di maternità appena iniziata, poiché il rientro impone una divaricazione di attese, bisogni, impegni, in un’ultima analisi, di identità.

Soggettivamente il rientro è, infatti, il momento di sovrapposizione tra questa “sospensione spazio-temporale”, che ha caratterizzato lo sviluppo dell’esperienza della gravidanza e della maternità, che comincia a sgretolarsi, e la quotidianità che si avvia a irrompere e a reimporsi.

Una quotidianità che però non può essere più quella di prima.
Se si continua a usare la metafora del viaggio, si può dire che si entra con un salto brusco improvviso nella rottura spazio-temporale del congedo (non inatteso, perché preparato), ma se ne esce attraverso un processo lungo di “instabilità”, caratterizzato da un numero crescente di “buchi” nella condizione di sospensione, sempre più vistosi, rappresentati da frammentari “ritorni alla quotidianità”, sempre più frequenti.
Il contratto psicologico con la dimensione professionale esige una riformulazione reciproca tra la donna professionista madre e la sua rete professionale, che può anche non coincidere con quanto promesso in merito al rientro, ma, in realtà, volto a rendere meno traumatico il “passaggio” dalla sospensione delle relazioni e del proprio ruolo, al loro reintegro.

MAMMA E PROFESSIONISTA: STORIE DI DIVARICAZIONE
Avendo fatto esperienze concrete con gruppi di donne rientrate al lavoro ( età media dei figli intorno ai 2 anni) , ho avuto modo di entrare nel merito dei vissuti legati a questa particolare esperienza al femminile.

Gli stati d’animo più sperimentati, emersi dalla narrazione delle partecipanti all’esperienza, possono essere identificati in :

solitudine
vulnerabilità
senso di colpa e disorientamento

Solitudine
Questo stato d’animo prevale durante la gravidanza e nel primo anno di vita del bambino.
Una volta la famiglia allargata forniva un supporto fisiologico alla nuova madre del come “curare -trattare” il nuovo nato. Nel bene e nel male, pratiche e consuetudini consolidate si tramandavano da madre a madre con tutti i vantaggi e gli svantaggi del caso.
Oggi, mentre tutti gli altri sono al lavoro, compreso il proprio partner, la donna si ritrova sola di fronte alla sua nuova responsabilità. Certo c’è la gioia e l’entusiasmo e la ricchezza della nuova vita che prende forma, ma che richiede un investimento totale delle proprie energie e risorse.
Paradossalmente, a fronte di un’enorme quantità di informazioni disponibili, di un’attenzione medica capillare e di un’offerta qualificata di beni di consumo specifici, la maternità è oggi, come non mai, in molti casi un’esperienza di solitudine, di ansie, di paure, proprio perché manca una rete sociale di riferimento, e al contempo la rete professionale non è più punto di riferimento esperienziale.
Anche quando si rientra al lavoro la situazione cambia di poco: non si può essere prese in considerazione su progetti importanti poiché la neo mamma non potrà garantire continuità o orari prolungati.
Si è più sole a casa e si è più sole sul lavoro.

Vulnerabilità
Essere capaci di saper accudire una nuova creatura e al contempo ritornare ad essere affidabili per la propria rete professionale sono domande sempre aperte nella vita di una donna- madre che rientra nel proprio contesto lavorativo.

Riuscirò a fare bene le due cose? Riuscirò ad essere all’altezza della situazione che richiede maggiori energie, competenze e risorse personali? Riuscirò ad essere una buona madre e allo stesso tempo a non dover rinunciare alla mia carriera? Alle mie ambizioni professionali? Ritornerò ad essere presa in considerazione per progetti importanti o il mio destino professionale è segnato per sempre?

Sono auto-interrogazioni ricorrenti della “mamma al lavoro”, domande che incalzano e mettono a dura prova il livello di autostima e il senso della propria autoefficacia.

In questa incertezza i possibili errori, sia su un versante che sull’altro, attaccano l’equilibrio personale e mettono a dura prova il sentimento di adeguatezza personale.

Si è più vulnerabili a casa e si è più vulnerabili sul lavoro.

Senso di colpa e disorientamento
Non sempre, ma spesso i due precedenti stati d’animo prendono la strada del senso di colpa e di un atteggiamento divaricato tra i due ruoli.

Quando si sta con il proprio figlio si ha la sensazione di perdere occasioni importanti sul lavoro e quando si è al lavoro si ha la sensazione di perdersi momenti importanti della crescita del proprio figlio. Il senso di perdita fa presto a fare il salto nel senso di colpa.

Possono esserci situazioni in cui si vorrebbe essere pienamente in tutte e due le situazioni e si finisce per stare a disagio in entrambe.

Inoltre per la pressione sociale e le difficoltà economiche che aumentano sempre di più risulta difficile decidere di optare per esempio di darsi il tempo necessario per consolidarsi come mamma, accettando le conseguenze restrittive che ne conseguono dal sottrarre senso e significato al proprio impegno lavorativo.

Questa divaricazione è sanabile soltanto se i vari contesti in cui le donne sono inserite concorrono a far si che l’esperienza della maternità non si risolva in una esperienza di sottrazione ma di arricchimento e di crescita.

Ultimamente diverse Aziende sono diventate più attente e sensibili a queste problematica e grazie alla presenza di donne all’interno delle Risorse Umane cominciano a realizzare iniziative in questa direzione.

Ecco a mio avviso quali sono le dimensioni più importanti su cui intervenire per migliorare e facilitare un reintegro positivo delle donne-mamme che tornano al lavoro:

  • agire sulla dimensione culturale dell’organizzazione per trasformare miti e pregiudizi sulla maternità in valore individuale e collettivo aggiunto;
  • facilitare, da parte delle donne, una migliore definizione delle nuove aspettative su di sé e integrarle con quelle dei capi, dei colleghi e dei collaboratori;
  • supportare le donne a sviluppare una migliore integrazione tra il ruolo professionale e il ruolo di mamma, in una logica di work life balance;
  • coinvolgere capi, colleghi e collaboratori (prima del congedo, durante, e al rientro) per poter costruire una rete relazionale stabile a cui far riferimento nei momenti topici: passaggio di responsabilità, supporto informativo e relazionale durante il congedo, accoglienza e integrazione al rientro.

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