Intervista a Cecilia Santarsiero

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D. Quali le motivazioni che vent’anni fa l’hanno portata a scegliere di lavorare come consulente d’azienda nell’ambito delle risorse umane? 
R. Un’ esperienza di selezione e formazione svolta in Algeria, nell’84 per conto della società Technipetrol mi ha introdotto nel mondo aziendale. Allora, in Italia, erano pochissimi i consulenti che lavoravano in quest’ambito. Fui colpita dalle potenzialità di sperimentazione, innovazione e sviluppo che offrivano i contesti organizzativi. Ritenni che le mie competenze di psicoterapeuta potevano essere messe al servizio del benessere delle persone che lavorano quotidianamente insieme. Mi ha affascinato il poter lavorare per far emergere la dimensione più nascosta, più implicita delle relazioni interpersonali, e di come la dimensione emotiva-affettiva influenza potentemente i processi produttivi.

D. Quale modello, quale sensibilità, quale cultura esprime la sua società negli interventi consulenziali? 
R. Innanzitutto ci siamo dati alcune regole interne: si esulta non quando il cliente affida il progetto, ma quando esso e’ stato realizzato con successo; ogni progetto realizzato e’ un occasione di apprendimento e di miglioramento; tra di noi ci impegniamo a mantenere un dialogo aperto che alimenta la creatività; io penso che la libertà di potersi confrontare autenticamente nel gruppo interno rappresenti la premessa per poter essere credibili all’esterno. Bisogna non solo credere in se stessi, ma anche poter costruire al nostro interno, come società di consulenza, quello che poi proponiamo ai nostri clienti.

D. Su quale terreno si è maggiormente e positivamente costruito con le aziende un patto d’azione e l’intesa? 
R. Con le società con cui collaboriamo puntiamo a stabilire un rapporto di partnership, di co-progettazione degli interventi. Quando c’è un progetto importante da realizzare la prima condizione che chiediamo è quella di sapere quale sarà il team interno con cui lavoreremo. Il nostro imperativo è: mettersi in ascolto dell’azienda, percepirne il linguaggio, il “suono” che trasmette mentre lavora. La prima domanda che ci facciamo è: qual è la cultura di questa organizzazione? Quali valori, comportamenti, bisogni esprime nel modo di lavorare? Il secondo elemento su cui concentriamo la nostra attenzione è: nell’ipotesi di intervento che stiamo trattando, qual è l’esigenza prioritaria? Qual è il bisogno implicito? Quale complessità è in gioco nella richiesta del nostro interlocutore? Questa modalità di approccio ha consentito che le aziende con le quali ho iniziato a lavorare nel ‘92 siano ancora nostre clienti; insomma se ci conoscono difficilmente ci mollano.

D. Come, per quali ragioni, è avvenuto il passaggio da un impegno su un ambito inizialmente concentrato sulle risorse umane, a quello più generale e complessivo del buon funzionamento delle organizzazioni e del loro management? 
R.Le attività di selezione, di formazione, di valutazione del potenziale più tradizionali sono servite inizialmente come occasione per costruirci al nostro interno un paradigma dell’organizzazione, a conoscere meglio i meccanismi di funzionamento di un’azienda, ad approfondire la conoscenza delle logiche di collaborazione-competizione, di controllo-potere, di sviluppo personale e di gruppo. Oggi Studio Santarsiero è una società che, oltre ad occuparsi di queste attività, svolge indagini culturali e di clima, fornisce supporto alla formazione e allo sviluppo del Top Management, con il quale individua e profila il modello manageriale di riferimento, facilita i processi di visioning necessari a traghettare l’azienda verso il futuro.
Il modello di intervento di cui ho parlato supera il concetto di consulenza centrata sulla specifica attività, ponendo il focus sui percorsi di conoscenza necessari all’evoluzione e al successo aziendale. E sui percorsi di conoscenza abbiamo lavorato molto in termini di innovazione e pratiche, contaminando e trasformando quella che è la tradizionale attività di aula con mestieri e saperi diversi, dalla magia all’outdoor, dal coaching individuale e di gruppo alle tecniche teatrali ed espressive. Ci tengo a dire che quello che conta non è la tecnica in sé, ma l’articolazione del processo di conoscenza e la sua efficacia nella coerenza con l’obiettivo di partenza. Ciò che è importante, come afferma Edgar Morin per affrontare la complessità dei nostri tempi è che un processo di conoscenza sia in grado di trasformarsi in autoconsapevolezza e autoriflessione: “la critica non può esser disgiunta dall’autocritica, le attività auto-osservatrici devono essere inseparabili dalle attività osservatrici, abbiamo bisogno di imparare a negoziare, prima ancora che con gli altri, con le nostre stesse idee”.

D. Secondo lei , in base alla sua esperienza, quali sono oggi i processi più importanti che attraversano l’organizzazione aziendale? 
R. Solo 15 anni fa le aziende avevano la necessità di fare bene le cose che sapevano già fare, dovevano cioè saper corrispondere a criteri di qualità ed efficienza per poter avere successo. Oggi ciò non è più sufficiente.
Bisogna saper integrare rigore con innovazione, qualità con originalità, il prodotto con il servizio, la flessibilità con la continuità.
Oggi, un’ azienda di successo deve fare i conti con processi di integrazione complessa, deve saper tenere insieme le nuove forme di regolamentazione dei rapporti di lavoro con il bisogno che le persone hanno di dare senso a quello che fanno e del loro bisogno, – connaturato direi – di poter costruire qualcosa che abbia valore. Devono saper trovare nuove modalità per stimolare le persone a crescere e a migliorarsi in una realtà che si fa sempre più liquida, magmatica, imprevedibile.
Oggi chi si occupa dell’impegno e del lavoro delle persone all’interno dei contesti organizzativi deve saper e poter trovare nuovi strumenti di gestione e valorizzazione di quell’insieme di modalità – tecnicamente chiamati meta-processi – che fanno interagire risorse e relazioni, che combinano saperi di professionalità differenti; di generazione delle competenze chiave; nuovi sistemi di modeling e codificazione della conoscenza (trasferibilità, condivisione e replicabilità) , insomma un modo paradigmaticamente diverso di valorizzare il capitale che rappresenta la struttura portante del valore economico dell’Azienda e la sua distintività..

D. Perché ha recentemente scelto di riqualificare il suo impegno modificando anche termini essenziali del linguaggio specifico, sostituendo ad es. “risorse umane” con “risorsa persona”? 
R. Nel nostro modello consulenziale stiamo infatti proponendo di sostituire la tradizionale denominazione Risorse Umane con Risorsa Persona, il cui il termine Persona fa sintesi delle più significative variabili in gioco – contesto-ruolo-relazioni – e mostra la differenza che fa oggi avere in azienda e nelle organizzazioni Persone, e non delle astratte “umanità”.
Una diversa denominazione porta con sé una nuova attribuzione di significati: con il termine Risorsa Persona il focus si sposta su quelle leve che garantiscono l’affermarsi di valori e comportamenti caratterizzati dall’autonomia, dalla responsabilità, dalla coerenza e trasparenza, dalla partecipazione, dal riconoscimento dei meriti e dall’integrazione attiva.

Il focus si sposta ancor più nettamente sullo sviluppo della persona, sulle potenzialità di espressione sia individuale che di gruppo, sulla possibilità – ed è questa la nostra mission – di poter costruire un’intelligenza di insieme, capace di integrare il piacere di lavorare insieme con il processo di raggiungimento degli obiettivi.

2 thoughts on “Intervista a Cecilia Santarsiero”

  1. Matteo Canori says:

    Gentile Dott.ssa Santarsiero,
    sono un professionalmente giovane Psicologo del lavoro e delle organizzazioni.
    Leggendo la sua intervista non posso non farLe due domande.
    Nel 1984 la società italiana e quella mondiale erano fortemente diverse da quella attuale e le richieste del mercato, oltre che i livelli di competizione, erano diversi da quelli attuali: se dovesse fare oggi quel viaggio in Algeria, ritiene che sarebbe ancora possibile costruire tutto ciò che il Suo studio oggi rappresenta? Intendo, è possibile collocarsi per un “novellino” su un mercato così competitivo e a tratti saturo?
    La seconda domanda è di processo: in base alla Sua esperienza, è possibile ottenere una commessa senza una domanda esplicita? Con ciò intendo chiederLe, fino a che punto si può proporre un intervento, si può “procacciare” un cliente, senza venire meno agli importanti e basilari presupposti professionali legati alla domanda del cliente?
    La ringrazio.

    Cordiali saluti,

    Dott. Matteo Canori

    1. CeciliaSantarsiero says:

      Gentile dott. Canori, è possibile stare sul mercato e rimanerci solo ricercando nuovi modi di fare formazione e di guardare al modo di stare in azienda oggi delle persone che vi lavorano. E’ vero, il contesto socioeconomico e culturale in cui ci muoviamo oggi è molto diverso da quello in cui io ho iniziato, ma non potrebbe essere diversamente.
      Ed è in funzione di oggi che è necessario percorrere nuove strade, il valore della persona al centro è un valore che ha assunto molto più significato oggi di quanto lo avesse quando io ho iniziato.

      Veniamo alla sua seconda domanda:
      Bisogna anche sapere dire di no, bisogna saper rischiare di perdere un progetto se questo progetto entra in collisione con il sistema valoriale di chi lo propone.
      Io l’ho fatto e il ritorno, in alcuni casi è stato decisamente maggiore che se avessi detto di si, in altri ho perso, semplicemente. Ma ritengo che è un rischio che va corso….

      Grazie a lei per le domande,
      Cecilia

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